IL GIORNALE DI VICENZA
Sabato 26 Giugno 2010
CINEMA. Ambientazione rurale e tre personaggi per il regista Pozzan
Due fratelli a Vicenza nei cupi anni Settanta
“I giorni di ieri”, presentato a Brendola, è stato girato su pellicola e con dialoghi interamente in dialetto
Eva Dallari
BRENDOLA
Grande successo a Brendola per la prima de “I giorni di ieri" di Stefano Pozzan. Pubblico numeroso, tra cui l'assessore regionale Elena Donazzan, alla proiezione, dopo la quale si è svolto un dibattito condotto da Emanuele Vezzaro, critico cinematografico, che ha coinvolto regista e attori in una discussione su questo film che racconta una storia d'amore ambientata nella Vicenza rurale del 1977 e che sarà presente al Festival di Venezia 2010. Un film girato "alla vecchia maniera" e con dialoghi interamente in dialetto veneto.
Rodolfo (Luca Sgolmin), sposato con Ilaria (Nora Deldoge), e Amedeo (Dario Folco) sbarcano il lunario lavorando i campi. Vivono di poco. Purtroppo problemi di eredità, passioni nascoste ed imprevisti porteranno i due fratelli a dividersi. Questa in sintesi la storia raccontata attraverso la granulosità del 16 mm. e del Super8, scelta del regista anacronistica nell'era del digitale, ma ponderata e azzeccata. Piani sequenza lunghi, uso di luce naturale e suono in presa diretta trasportano lo spettatore direttamente negli anni Settanta.
È la vigilia di quello che sarà l'anno più tragico della storia italiana del secondo dopoguerra: l'esplosione del movimento terroristico delle BR con il sequestro Moro. C'è un barlume di condizione sociale richiamato dal movimento sindacale alla fonderia, ma sembra che la storia italiana non scalfisca minimamente questi luoghi. È una scelta stilistica e di forma voluta dal regista per concentrare l'attenzione dello spettatore sulle vicende e la psicologia dei protagonisti tanto da rendere la casa e i campi dove questi vivono e lavorano un “non-luogo”: sono usufruttuari del casolare e della terra che lavorano che diventerà, in seguito alla morte dello zio, prima bene in affitto per poi essere venduto.
Immagini dal forte impatto emotivo che richiamano maestri della pittura come Van Gogh (la sequenza della cena richiama “I mangiatori di patate" del pittore olandese) o alcune sequenze del film di Ermanno Olmi “Il tempo di è fermato. Come pure la panchina che guarda verso la valle, ma non si vede nulla oltre il prato quasi a sottolineare l'incapacità di Rodolfo e Amedeo di vedere cosa succederà nel prossimo futuro.
Un uso quasi maniacale delle immagini in una ricerca che va oltre la “consecutio temporum”, in una sorta di dilatazione del tempo, alla ricerca di ritmi dettati dalla natura ormai perduti dall'homo tecnologicus.
Importante il rapporto uomo-natura, che viene soppiantato dagli interessi economici di speculatori disposti a vendere fazzoletti di campagna a facoltosi signorotti di città alla ricerca di un angolo di tranquillità.
Un elemento di disturbo: il meticcio, personaggio ilare e misterioso, che con la sua fionda interrompe il pranzo dei due fratelli; monito da parte di Pozzan sul fatto che c'è sempre qualcuno pronto a distruggere l'ordine precostituito a fatica, indipendentemente dai progetti che si vogliono realizzare nel futuro. Futuro reso ancora più incerto dalla presenza-assenza dello zio dei due fratelli: mai inquadrato, ma che segnerà con la sua morte una tappa fondamentale nelle vicende del trio Rodolfo-Ilaria-Amedeo. Ed è proprio il rapporto dei due fratelli con Ilaria che destabilizza in maniera definitiva il canone della famiglia patriarcale tipica del Veneto e della cultura contadina in primis. Per gustarsi il film, non resta che accomodarsi sulle poltrone e sdeguire la storia raccontata da Stefano Pozzan, contrappuntata dal commento musicale delle Orme. Il film durante l'estate sarà in tour in vari centri del Vicentino.