L´altra sera a Roma le più alte cariche dello Stato hanno ammirato la pellicola sulla Grande Guerra Vicenza Film Commission guida il gruppo berico
giovedì 06 novembre 2014 CRONACA, pagina 24
Antonio Di Lorenzo
ROMA
Quando ha visto le prime immagini di Torneranno i prati scorrere sullo schermo, il Presidente Napolitano deve aver scorto in quel giovane tenente raccontato da Ermanno Olmi il volto riflesso di suo padre. Giovanni Napolitano, avvocato partenopeo e padre di Giorgio, la Grande Guerra la combatté proprio sull´Altopiano: fu sottotenente a cima Valbella. Quando tornò, nel 1919, scrisse un libro: “La volontà di vivere” per raccontare le sofferenze di quegli anni. Perché negli occhi dei suoi soldati vide quegli stessi sguardi stanchi, sfiniti, sfiduciati che Olmi dilata - grazie anche alla splendida fotografia del figlio Fabio - nei primi piani del film che si sofferma sui dettagli della vita in trincea e su quei volti di poveri soldati, infreddoliti, dimenticati dai generali e della Storia. Ha testimoniato il regista: «Ho voluto girare a 1800 metri per avere i veri volti del freddo». E al termine della prima, è rimbalzato il commento del protagonista, Claudio Santamaria, che abbraccia il ventisettenne Alessando Sperduti, il tenentino del film che nel foyer piange come un bambino: «Siamo rimasti quasi congelati per le riprese. I piedi non li sentivamo più. Ma la forza che ci ha trasmesso Ermanno in questo lavoro è stata straordinaria».
L´altra sera all´auditorium della Conciliazione, il Capo dello Stato era seduto al posto d´onore, assieme alla moglie Clio, per la prima del film di Olmi, una celebrazione antiretorica della Grande Guerra, girato sull´Altopiano, poco distante da casa sua. E in pellicola, alla faccia del digitale. A fare da corona al Capo dello Stato c´era mezza Repubblica, con i presidenti del Senato e della Camera, Grasso e Boldrini, il presidente della Corte Costituzionale, Giuseppe Tesauro, un buon numero di ministri, da Giannini a Franceschini. Folla dell´Italia del giornalismo e della cultura. Due nomi per tutti: Fabiola Gianotti, fresca di nomina a direttore del Cern di Ginevra, e Gabriele Salvatores. Il premio Oscar commenterà con parole di elogio il film: «Mi è piaciuta molto la poesia che trasmette, il distacco dalla pura cronaca per toccare sentimenti e discorsi più profondi».
Il film è quasi tutto in dialetto veneto, con sottotitoli in italiano. Risuonano i nomi a noi familiari, quelli dei soldati cui non saranno mai recapitate le lettere arrivate al fronte: Cortese, Menegozzo, Scaggiari, Fabris, Zonin, Carollo. Scorrono le immagini: gli ordini assurdi cui un capitano disobbedisce, le bombe che fanno tremare la trincea, la morte inflitta dai cecchini, quella cercata per suicidio, «perché è meglio morire qui che là fuori come bestie».
Il film, quasi senza musiche (tranne la tromba finale di Paolo Fresu) e quasi tutto in bianco e nero, arriva al cuore di milleottocento invitati, compresso un folto gruppo di asiaghesi, giunti in pullman e ripartiti all´una e mezza di notte, con in testa il sindaco Roberto Rigoni Stern, che pure ha avuto un piccolo ruolo nel film. Asiaghese di nascita e primario al San Bortolo di ematologia, c´è anche Francesco Rodeghiero assieme alla moglie Laura. Dopo qualche incertezza sull´assegnazione dei posti, che l´ha fatto parecchio arrabbiare, ha trovato la poltrona anche il vicepresidente del Veneto, Marino Zorzato, e il presidente del teatro Stabile del Veneto, Angelo Tabaro più un paio di senatori.
C´era anche un gruppo di vicentini, organizzati da Vicenza Film Commission, presente con Valdimiro Riva e Carla Padovan, che ha sostenuto l´impegno di Olmi: il sindaco di Vicenza e presidente della Provincia, Achille Variati (che ha celebrato il maestro vicentino dopo aver passato mezza giornata a litigare con il premier Renzi sui quattrini che le Province non hanno più) e il suo capo di Gabinetto, Dino Secco.
Olmi è presente con un videomessaggio che è una dicharazione d´affetto incondizionata verso il Capo dello Stato: «Ho sempre creduto di essere stato un raccontatore o comunque un artigiano del cinema - spiega seduto accanto al letto della sua stanza al San Raffaele di Milano -. Ho scoperto tardi che la mia vera vocazione è di essere popolo. E noi, popolo, caro Presidente Napolitano, la amiano moltissimo e le vogliamo bene». Elisabetta Olmi testimonia che il Presidente ha assicurato che telefonerà la mattina successiva al papà per ringraziarlo di queste parole.
Il film è dedicato al padre, che a 19 anni si arruolò nei bersaglieri, conobbe gli orrori del Carso e del Piave e raccontava al piccolo Ermanno piangendo quanto aveva sofferto nella Grande Guerra.
La sua morale è quella del film, racchiusa nella frase conclusiva che appare nell´ultimo fotogramma: «La guerra è una brutta bestia, che gira per il mondo e non si ferma mai». Parole di Toni Lunardi, il pastore altopianese che con Tullio Kezich e Mario Rigoni Stern, e naturalmente Olmi, sceneggiò “I recuperanti” nel 1970. Dopo 44 anni, il cerchio si chiude. Olmi ritorna a quella guerra, con una consapevolezza antica ma nuova: la logica antimilitarista non basta, dobbiamo uscire dal tradimento della verità che ci ha reso finora complici: «La guerra è la più grande stupidità dell´umanità».
DA "IL GIORNALE DI VICENZA"